immagine che simboleggia serenità e consapevolezza del proprio valore

Quanto vali? (Spoiler: non è la cifra sul tuo conto corrente)

“Non me la sento di chiedere di più, perché non ho una laurea”

Me lo ha detto in consulenza una professionista con anni di esperienza, clienti soddisfatti, una reputazione solida. Una donna seria, preparata, attenta.

Eppure, la mancanza di un titolo rappresentava per lei una soglia concreta, quasi tangibile. Come se tutta la sua competenza e l'esperienza ventennale sul campo non valesse abbastanza, senza.

Succede spesso. E, se ti ritrovi in questo discorso, sappi che sei in buona compagnia.

In questo articolo ti invito a fare un po’ di spazio: tra i fatti e le convinzioni, tra quello che sei e quello che ti hanno insegnato a credere.


Perché misuriamo il nostro valore in denaro (e perché è una trappola)


Lo facciamo senza accorgercene.

  • Quando diciamo “io non potrei mai chiedere quella cifra!”.

  • Quando pensiamo che chi guadagna di più, valga di più.

  • Quando ci sentiamo in ritardo rispetto ad altri

Ma da dove arriva questa idea?

Il nostro cervello è programmato per semplificare. Secondo Daniel Kahneman, psicologo e Premio Nobel per l'Economia, il nostro cervello tende a sovrastimare ciò che è semplice da misurare e a ignorare ciò che è più complesso da valutare.

Lo definiva con l'acronimo WYSIATI: What You See Is All There Is”, traducibile più o meno in "ciò che vedi è ciò che c'è".

In altre parole, prendiamo decisioni (anche sul nostro valore) basandoci su ciò che è visibile o facilmente quantificabile - come il denaro - trascurando tutto il resto. Il risultato? Finisce che ci raccontiamo la nostra storia personale solo in numeri:

  • quanto guadagno

  • quanti titoli ho

  • che macchina guido

  • che casa posso permettermi

È un tipo di “contabilità emotiva” che può diventare tossica se non ci accorgiamo di farla.


Quando scatta l’autosvalutazione


Ci sono momenti precisi in cui questa trappola si attiva con più forza. Per esempio:

  • Quando si cambia lavoro o si inizia una nuova attività può emergere un senso di incertezza, come se si dovesse dimostrare tutto da capo.

  • Quando si definiscono i prezzi di prestazioni o servizi: qui si gioca tutto il tema del pricing e del valore percepito.

  • Quando all'interno della relazione il/la partner ha uno status economico più alto del nostro (o magari ce lo fa pesare).

E, non a caso, spesso tutto questo succede in momenti di vulnerabilità: separazioni, cambi di carriera, maternità, burnout, trasferimenti.

Sono fasi di transizione. E nei passaggi, la voce dell’autosvalutazione è più forte.


Cosa fare per smascherare i criteri falsati


Cosa fare: Iniziare a distinguere tra ciò che sei e ciò che fai. Tra identità e performance.

Quando farlo: Ogni volta che ti sorprendi a dire “non valgo abbastanza per…”, “non sono nessuno senza…”, “non ho fatto abbastanza per meritare…”

Perché è importante: Perché le convinzioni che abbiamo sul nostro valore influenzano ogni singola decisione. Non solo economica, ma anche relazionale, lavorativa, quotidiana. Le convinzioni diventano comportamenti, e i comportamenti creano la nostra realtà.

Vuoi un esempio?
S., una mia cliente, dopo una lunga pausa dal lavoro e una separazione difficile, era convinta di “dover ricominciare da zero”. Aveva 50 anni e si sentiva fuori tempo massimo. In realtà, non partiva da zero: partiva da lei. E ha ripreso in mano tutto — dignità, parcelle, confini, progetto.

Il primo passo? Riconoscere che il suo valore non era svanito con il matrimonio. Era lì, sotto la polvere delle aspettative.



Non cresciamo imparziali (e neanche i sistemi lo sono)


Le donne, in particolare, crescono spesso con l’idea che il valore personale vada guadagnato, dimostrato, concesso dagli altri.

Uno studio pubblicato su Harvard Business Review ha mostrato che le donne tendono ad accettare offerte economiche inferiori del 30% rispetto ai colleghi uomini a parità di competenze, anche quando lavorano in proprio. Non è solo questione di mercato, è questione di percezione del proprio valore.

E questa percezione si forma presto: in famiglia, a scuola, nella società. Basta pensare a quante volte abbiamo sentito frasi come:

  • “Prima devi dimostrare di meritartelo”

  • “Sii umile, non chiedere troppo”

  • “Meglio accontentarsi che sembrare avida o, peggio, volgare”

Una nota a margine: la consapevolezza del proprio valore non è arroganza. È responsabilità.



Il valore non si dimostra. Si abita.


Non serve “valere di più” per meritare rispetto, ascolto, spazio.
Per essere retribuiti meglio. Per sentirsi legittimati a parlare, a scegliere, a chiedere.

Non si tratta di diventare qualcun altro. Si tratta di tornare a sé.
Di smettere di credere che il proprio valore dipenda dall’essere impeccabili, dal non sbagliare mai, dal fare tutto “come si deve”.

Il valore non si costruisce. Si riconosce.

E questo riconoscimento non arriva dall’esterno.
Arriva nel momento in cui si smette di misurarsi con scale inventate da altri, e si comincia a camminare sulle proprie.


Vuoi andare oltre la teoria?


Nel percorso Money Matters | Access All Areas, affrontiamo anche il tema dal valore. Perché se non lavori sul modo in cui ti percepisci, nessuna strategia finanziaria regge.

Ogni workshop, ogni esercizio, ogni confronto è pensato per aiutarti a:

  • riscrivere la tua narrazione interiore sul valore,

  • migliorare il tuo rapporto con il denaro e la sua gestione,

  • tornare ad agire da chi sei davvero, non da chi pensi di dover essere.

Se senti che è il momento di fare spazio e creare la vita che vuoi, inizia da qui.

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